Negli articoli precedenti abbiamo parlato della sindrome fibromialgica, patologia contraddistinta da dolori diffusi dell’apparato motorio che si presentano inizialmente localizzati nel tratto cervicale o lombare e si diffondono, nel corso di qualche mese o anno, nell’intero sistema.
La tipologia di dolore è soggettiva e dipende dal singolo paziente che può riscontrare sensazioni di bruciore piuttosto che affaticamento e spossatezza.
Si ritiene inoltre che esista un collegamento tra fibromialgia e alcune forme di depressione e ansia.
I primi sintomi sembra compaiano intono ai 35 anni per poi diffondersi ed accumularsi. Raramente vengono colpiti i giovani e gli anziani.
Le cause della fibromialgia nella medicina occidentale sono tutt’ora sconosciute ma si ipotizza che ci siano alterazioni a livello dei neurotrasmettitori, disequilibri ormonali, alterazioni del sonno e gravi condizioni di stress.
Gli esperti ritengono che sia un insieme di fattori a portare alla comparsa dei suoi sintomi, inclusi fattori genetici, infettivi, ormonali e psicologici.
L’ipotesi più accreditata è che per qualche ragione venga compromesso il modo in cui il cervello processa il dolore.
Chi soffre di fibromialgia ha una soglia del dolore più bassa della norma a causa di un aumento della sensibilità celebrale agli stimoli dolorosi.
A seguito di eventi traumatici questa malattia tende a comparire causando una riduzione della concentrazione di melatonina e noradrenalina a livello del sistema nervoso. La melatonina e noradrenalina sono neurotrasmettitori che svolgono un ruolo importante nel controllare la soglia del dolore, la regolarità del sonno e il tono dell’umore.
È difficile prevedere la durata della malattia in ogni singolo caso, tuttavia i dolori diminuiscono col passare del tempo. La terapia per questo motivo è importante per la prognosi, se il paziente è consapevole della malattia e di quello che deve affrontare tanto più riesce a ridurre il decorso complessivo.
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